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NEL PAESE DEGLI UOMINI ONESTI

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Si riporta l'articolo di Marta Sodano pubblicato sul n. 2 del 27 luglio 2012 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":

Sono passati ormai quattro mesi dal mio arrivo in Burkina e ancora trovo molto difficile spiegare a parole com’è la vita qui. Da casa me lo chiedono continuamente: “come va?”, “cosa fai lì?”, “com’è il Paese?” e sperano tutti di ricevere una risposta breve ed esaustiva.

Troppo difficile. Ogni cosa è diversa e credo che chiunque sia stato in Africa capisca a cosa mi riferisco. C’è un che di magico ed indescrivibile in questo continente così complesso. Se devo dire cosa mi viene in mente quando penso alla vita qui in Burkina Faso penso a un turbinio di immagini: i colori, le risate, gli sguardi fieri, la confusione, la sporcizia, la natura, i mercati, la terra rossa, i ritmi lenti, i manghi freschi, i carretti con gli asini, i bambini che giocano per la strada, le donne che camminano eleganti, la confusione delle città, la calma dei villaggi, il canto dei muezzin, le bancarelle colorate, gli odori, i taxi sgangherati, le stoffe sgargianti,…

Tutto questo e molto altro. È un qualcosa così difficile da definire, ma che so già mi farà scoppiare quel maledetto “mal d’Africa” al ritorno a casa. Se cerco di tornare con la mente al mio arrivo, ricordo solo il forte caldo avvolgente, un caldo tale che mi era sembrato di atterrare in un forno, soprattutto venendo dai cinque gradi di quest’ultimo febbraio. Ci sono volute diverse settimane per arrivare ad una rassegnazione zen verso i perenni quaranta gradi.

L’altra forte impressione che lego ai primi mesi è verso i colori. Per mesi ogni cosa sembrava avvolta da una luce calda, quasi rossa, data dalla polvere che c’era nell’aria e che ricopriva ogni cosa facendola divenire dello stesso colore delle strade di terra battuta. Era la stagione più calda e soffiava l’harmattan, il vento caldo del deserto, incidendo non solo sul clima, ma anche appunto sui colori e gli odori. L’odore di terra rossa era ovunque e ancora adesso non saprei descriverlo. Da qualche settimana il clima è cambiato, in quanto siamo entrati nella stagione delle piogge e si sta decisamente meglio, pensate che non c’è più nemmeno il perenne strato di polvere che ricopriva ogni superficie, fino a dentro gli armadi di casa!

Ma ovviamente il Burkina è molto più che caldo e polvere. È uno di quei Paesi che si sentono nominare spesso, ma che non molti conoscono. Quanti saprebbero collocarlo sull’atlante? Pochi, forse perché purtroppo non è nella top ten delle mete da visitare, non a vendo i grandi parchi di Kenya o Tanzania, spiagge tropicali o safari. Eppure è un Paese ricchissimo dal punto di vista paesaggistico ma soprattutto culturale, con le sue oltre 60 etnie, ognuna con diverse tradizioni, lingue, architetture e credenze. È il Paese delle maschere, dei festival culturali, dei funerali come feste di paese e dei concerti ad ogni ora. È il Paese dei feticci, delle moschee a fianco alle chiese, e delle mille tradizioni locali. È il Paese di Thomas Sankara, il Che Guevara africano, il quale aveva cambiato il nome del Paese da Alto Volta a Burkina Faso, ossia il “Paese degli uomini onesti”. Mi è sempre piaciuto questo significato, dà fiducia e ispira simpatia. Devo dire che ho riscontrato che è vero, i burkinabé possono avere dei difetti (insistenza, indolenza, rassegnazione,…) ma certamente sono persone oneste, integre. Fra i difetti ho messo l’indolenza, che mi piace descrivere con la filosofia burkinabé del “il n’y a pas des problèmes”… Dire che va tutto bene è una forma di negazione dei problemi che spinge purtroppo tutti ad accettare le cose come stanno, al massimo rimettendole alla volontà di Dio. “Inshallah un giorno staremo meglio”. Un’altra applicazione di questa filosofia di vita si nota nelle richieste: ad ogni cosa che gli chiederai, il burkinabé dirà sempre “non c’è problema”, tutto si può risolvere. Significa che è vero? Che sarà capace di aiutarti o potrà fornirti ciò che hai chiesto? Forse, ma non si dice mai di no, una soluzione si troverà, basta portare pazienza. Ed è vero che sanno davvero ingegnarsi: riescono a trasportare quindici mobili su una bicicletta o aggiustare la tua auto in panne nel mezzo della brousse. Non smetto mai stupirmi. Fin da quando sono arrivata poi, ho fatto da subito una riscoperta su di me: sono bianca! Una “tubabu” se vogliamo dirlo in dioula e tutti fanno in modo di ricordarmelo sempre. I bambini lo urlano per strada anche se mi vedono ogni giorno sulla via del lavoro e gli anziani lo dicono come se fosse un normale saluto. Non ci si sofferma spesso a pensare al proprio colore della pelle e che implicazioni ha questo quando ti trovi in certi Paesi. Può essere positivo perché sicuramente attiri l’attenzione e tutti vogliono essere tuoi amici, può essere meno positivo quando al mercato ti chiedono un prezzo dieci volte più alto o ti guardano ammiccanti. Quando ci si sposta nei villaggi, poi, le differenze si sentono ancora di più. I bambini ti guardano come se venissi da un altro pianeta, ma basta un sorriso e una stretta di mano e la barriera è superata.

Una volta abituati ai cori “Tubabu! La blanche!” il modo che preferisco per muovermi qui resta la bicicletta. Certo arranca un po’ per le strade di terra battuta, soprattutto ora che con le piogge si aprono buche come voragini, ma permette di muoversi veloci per tutta Bobo e di osservare la città e le persone da vicino. Perché le persone qui non vivono rintanate in casa come da noi in Europa, ma sono sempre all’aperto, in giardino o sulla strada. Ci sono le donne che cucinano o lavano i piatti nella propria corte, i bambini che fanno la fila alla fontana dell’acqua, gli uomini che chiacchierano e bevono il tè, le persone di ogni età che riposano all’ombra di un albero. Bobo sarà sì la seconda città del Burkina, ma a volte sembra di essere in piena campagna visto il continuo pascolo di capre, asini e polli per le vie della città. È quindi davvero un posto a misura d’uomo, ci sono certo delle piccole scomodità, ma le vie principali sono tutte asfaltate e ci sono negozi e bancarelle ad ogni angolo. Non mancano poi bar e “maquis” dove bere o mangiare qualcosa con poco e la sera c’è sempre qualche concerto di musica tradizionale o moderna, visto che Bobo è considerata la capitale culturale e musicale del Burkina e dell’Africa Occidentale, e non a torto.

Ci sarebbe molto ancora da raccontare per avere un quadro più chiaro della vita qui, ma ci vorrebbero pagine e pagine e io stessa sono ancora in continua sorpresa e tengo i miei occhi spalancati su questa realtà così differente per imparare a conoscerla meglio e sentirmi ogni giorno più parte di essa.

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